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L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), nel 2002, riconosce che l’osteopatia partecipa al mantenimento della salute e la inserisce tra le Medicine Non Convenzionali, avviando politiche nazionali volte ad integrare le medicine non convenzionali nel sistema sanitario.
L’osteopatia così è stata regolarmente riconosciuta in Inghilterra, Belgio, Francia, Finlandia, Svizzera, USA, Canada, Australia, mentre in molti paesi è in fase di regolamentazione.

Oggi per esempio in Francia l’ osteopata è una figura sanitaria che presenzia nelle aziende sanitarie locali e negli ospedali ha un ruolo di prevenzione atto ad un risparmio futuro del sistema sanitario nazionale. Presenzia per esempio in sala parto durante il concepimento per trattare alla nascita l’infante.

Allo stato attuale,  la professione di osteopata non è regolamentata dalla legge italiana, se non per quanto riguarda il regime fiscale, e rientra tra le professioni non riconosciute. C’è un vuoto legislativo. In Italia, ad oggi, non c’è ancora un riconoscimento sanitario della professione osteopatica.  Una situazione di incertezza e di ambiguità, che forse a una parte del mondo dell’osteopatia ha anche fatto, e continua a fare comodo. Nell’osteopatia, come in tutti i campi, c’è chi agisce in modo serio e chi invece lo fa solo come business. L’obiettivo dichiarato delle associazioni che spingono per un pieno riconoscimento è dunque la trasparenza e la chiarezza.
Questo non significa in alcun modo che in Italia sia illegale esercitare la professione di Osteopata; l’osteopata infatti può svolgere la propria attività come libero professionista, aprendo cioè una partita IVA con codice “Altre professioni paramediche”.


È quindi possibile aprire uno studio privato che rispetti le norme igienico-sanitarie previste dalla legge per l’apertura di uno studio professionale. Non è invece obbligatorio avere alcun tipo di autorizzazione da parte delle ASL locali.
Il trattamento osteopatico è soggetto all’applicazione dell’aliquota IVA vigente.